
Il caffè espresso al banco costa sempre di più e noi abbiamo cercato di capirne i motivi
Una tazzina di caffè espresso nei bar italiani può arrivare a costare anche 1,25 euro. Troppo, secondo Assoutenti, che ha denunciato i rincari subiti dal prodotto Made in Italy nel corso del 2021. Ma il prezzo non è ovunque lo stesso.
Dati dell’associazione alla mano, la regione in cui il caffè espresso al bar costa in generale di più (1,25 euro, per l’appunto) è il Trentino-Alto Adige. Segue il Piemonte: a Cuneo un caffè al banco non lo trovate a meno di 1,24 euro.
Nelle province di Ferrara, Ravenna e Reggio Emilia, così come a Rovigo e Venezia, invece, il prezzo di un espresso è di 1,20 euro. Seguono Padova e Vicenza, dove la media è di 1,19 euro.
E se volete trovare un caffè a meno di un euro, allora dove andare a Messina (0,89 euro), a Reggio Calabria e Catanzaro (0,92 euro) oppure nella sua patria storica, Napoli, dove un espresso viene mediamente 0,90 euro.
Che cosa si cela dietro il prezzo di un caffè al bar?
Ma come mai il caffè ha subito questi rincari? Che cosa si cela dietro il prezzo di una tazzina al bar? Per rispondere a questa domanda abbiamo seguito l’analisi di Andrej Godina, dottore in Scienza, Tecnologia ed Economia nell’Industria del Caffè, e Mauro Illiano, winexpert e caffesperto, andata in onda su Horeca.
“Credo che non esista nessun altro prodotto in commercio che al variare della qualità non veda cambiare anche il prezzo – ha spiegato Godina – e forse non tutti sanno che con una tazzina di espresso venduta attorno a 0,80 euro non si ottiene un margine di profitto sufficiente per pagare i costi di gestione della caffetteria, a cominciare da quelli del contratto di lavoro del barista professionista che incide non poco, quasi il 50% del prezzo. A questi si aggiungono i costi di gestione dell’attività, di affitto, delle utenze, dell’acquisto delle attrezzature (quando sono in comodato d’uso il barista le paga attraverso un rincaro del prezzo del prodotto, anche se spesso non ne ha consapevolezza). Per un bar di medie dimensioni, con un consumo medio di caffè di 3 chili al giorno (circa 350-400 espressi serviti), il fatturato generato non permette di mantenere l’attività. Da questa premessa appare chiara la necessità di una revisione di quello che è l’approccio della vendita del caffè al bar”.
Illiano la pensa allo stesso modo ma vola ancora più alto: “In veste di curatore della prima Guida dei Caffè e delle Torrefazioni d’Italia, avverto forte la necessità di supportare e incentivare tutti i protagonisti interessati (torrefazioni, caffetterie, ristoranti, hotel, ecc.) a stilare le Carte dei Caffè, che permettano finalmente di sdoganare la tazzina dalla sua costante di prezzo. Ad esempio, come si può pensare di porre sullo stesso piano economico un caffè coltivato in piantagioni intensive a cielo aperto e uno ottenuto da piantagioni site nei luoghi più angusti e impervi del pianeta? E caffè che hanno subito lavorazioni complesse? E paragonare il prezzo di tazzine composte da sola qualità Arabica con miscele a prevalenza Robusta, senza considerare l’enorme varietà qualitativa di entrambe le specie? Il discorso potrebbe continuare per ore, passando da considerazioni di tipo politico, burocratico, ambientale, industriale, questioni afferenti la diversa geografia dei Paesi produttori, il differente costo della manodopera, l’eterogeneità della legislazione vigente nel mondo, e tanto altro ancora. Ma è bene riportare l’attenzione sulla necessità di iniziare a identificare, dividere, classificare ed organizzare il caffè, anzi i caffè, realizzando delle vere e proprie carte, esattamente come avviene per il vino da diversi decenni. Solo così sarà possibile donare a ogni caffè la sua dignità e trasferire al consumatore il senso e la necessità di stabilire diversi prezzi per diversi caffè”.
LEGGI ANCHE – Perché il caffè espresso non sarà (per ora) patrimonio dell’Unesco?