
Non tutti potevano permettersi la lampreda, quindi si inventarono il… lampredotto!
Le origini del lampredotto sono forse tra le più interessanti di tutte le pietanze di carne. Il termine lampredotto deriva in qualche modo da quello della lampreda, un pesce un tempo molto diffuso nelle acque del fiume Arno, la cui bocca ha una conformazione simile alla forma del lampredotto (il cui ingrediente principale è tutt’altro che acquatica, visto che si tratta di una delle quattro sezioni dello stomaco dei bovini, ovvero l’abomaso).
Il lampredotto dopo la morte di Enrico I
Ecco, per capire come da un pesce si passò ad una mucca, bisogna tornare molto indietro nel tempo, e precisamente al 1135, anno in cui morì il re di Inghilterra Enrico I, deceduto a causa di un peccato di gola. Enrico I era infatti golosissimo di lampreda, pesce diffuso nei fiumi del Regno Unito. Il suo medico gli aveva però consigliato di andarci piano, perché la lampreda avrebbe potuto avvelenarlo. E così, in effetti, fu: il re morì a causa di un avvelenamento da cibo durante una battuta di caccia in Normandia. Da allora la lampreda viene ricordata dal popolo inglese come “il pesce che uccise il re”.
Dalla nobiltà inglese a quella fiorentina
La lampreda, però, era un pesce amato non solo dalla nobiltà inglese, ma anche da quella fiorentina. Il fatto che fosse un cibo nobile, tuttavia, lo rendeva inaccessibile alle fasce più povere dalla popolazione. Ecco perché si cercò (e si trovò, con astuzia) un’alternativa meno costosa a quella acquatica. Visto che i contadini non avevano a disposizione altro che non fossero frattaglie, iniziarono ad usare l’abomaso (appunto, uno dei quattro stomaci della mucca) cucinandolo allo stesso modo della lampreda, dando vita a quello che ancora oggi è conosciuto come lampredotto.
Un’idea che si dimostrò geniale. Nei vari angoli della città di Firenze, infatti, spuntarono in fretta decine di carretti che servivano il lampredotto bollito, accompagnato dall’immancabile salsa verde, dentro un panino a sua volta inzuppato nel brodo di cottura della carne (il nome del panino in questione, tipicamente toscano, è il semelle). La ricetta originale la trovate qui.
Insomma, è una bella storia o no?
Eccone altre altrettanto belle: